15 luglio 2008
La globalizzazione secondo Riccardo Bellofiore : tra crisi da domanda e crisi finanziaria
Nell'Europa continentale, negli anni Ottanta, si è venuto imponendo, a partire dalla Germania, un modello di crescita trainata esclusivamente dalle esportazioni. Se una strategia del genere ha luogo in un contesto di politiche restrittive e di generale ristagno della domanda si è, se va bene, in grado di crescere a spese dei concorrenti, ma si finisce comunque per rimanere, prima o poi, intrappolati in una situazione di deflazione generalizzata. Gli investimenti privati sono, infatti, rimasti a livelli insoddisfacenti negli ultimi due decenni, e a ciò ha senz'altro contribuito la crescita degli interessi, nominali e reali, seguita alla 'svolta' monetarista dei primi anni Ottanta avviata dalla signora Thatcher e da Reagan. La spesa pubblica, dal canto suo, è stata compressa in quest'ultimo decennio per adeguarsi ai parametri previsti dal Trattato di Maastricht, prima, e dal 'Patto di solidarietà e sviluppo' siglato ad Amsterdam e Dublino, poi. Benché la situazione dei singoli paesi sia non poco variegata, non pare contestabile che in Europa una strategia di risposta alla disoccupazione di massa debba passare per politiche macroeconomiche di espansione della domanda aggregata.
Il rischio di deflazione da bassa domanda è, comunque, più generale, ed investe anche il continente asiatico. Negli anni Novanta, la crescita lenta e l'accumularsi di squilibri non sono degenerati in crisi generale da sovrapproduzione e in instabilità aperta grazie alla crescita goduta dagli Stati Uniti e all'approfondirsi del disavanzo commerciale di quel paese, l'uno e l'altro favoriti dal ruolo di valuta di riserva mondiale ancora svolto dal dollaro e dalla posizione di Wall Street come centro del capitale finanziario. D'altra parte, il ridimensionamento del peso degli USA nell'economia mondiale impedisce al paese leader di essere in grado di trascinare all'espansione il resto del mondo. L'istituzione dell'euro - nella misura in cui quest'ultima fosse davvero in grado di costituirsi come moneta di riserva alternativa al dollaro - accentua il rischio di fluttuazioni rilevanti e improvvise dei rapporti di cambio, e rafforza il timore di una fuga dal dollaro qualora le contraddizioni della crescita americana si rivelassero prima o poi, come è probabile, insostenibili. L'economia mondiale, in breve, naviga rischiando, da un lato, gli scogli di una crisi da bassa domanda, e, dall'altro lato, quelli della crisi finanziaria.

Bellofiore non poteva prevedere ovviamente otto anni fa la congiuntura oggi in atto, ma l’alternativa tra crisi da bassa domanda e crisi finanziaria sembra ben individuata e così pure il ruolo dei rapporti di cambio (con l’aumento del petrolio collegato con il basso valore del dollaro)
Mi chiedo cosa succederebbe se i paesi esportatori di petrolio decidessero di essere pagati in euro (a breve potrebbe comunque loro non convenire) e se sia possibile in questa fase fare politiche di sostegno alla domanda attraverso l’intervento pubblico ed attraverso interventi in infrastrutture tese al risparmio energetico.
15 luglio 2008
Eroi del nostro tempo : Cià Gianfrà...
Gli obituari di Gianfranco Funari ci mostrano come siamo caduti in basso. Ormai alla galleria dei filosofi manca solo Alvaro Vitali. Funari era un rubizzo cabarettista che aveva raggiunto l'apice della sua carriera professionale con un simpatico e divertente programma che si chiamava "A bocca aperta" in cui gruppi di coloriti cittadini di parere contrario si scontravano su una questione di interesse generale. Poi l'impazzimento generale che c'è stato con il crollo del muro di Berlino (che ci deve essere caduto in testa), con l'emersione di tutto ciò che di grottesco c'era in Italia : il Cavalier Berlusconi con il suo italiano stirato (e la pelle anche), il Presidente Cossiga con i suoi ammiccamenti da "Ditegli sempre di sì", la Lega con i suoi rutti, Tonino Di Pietro con il suo linguaggio in anticipo perenne sul pensiero, Sgarbi con le sue strisce di bava rabbiosa, Giuliano Ferrara con il suo sguardo lampeggiante e trionfale da tutore di uno psicopatico danaroso Infine le anime morte una uguale all'altra come Bondi, Cicchitto, Vito, Brunetta, Schifani etc etc etc (come dice Sofia Loren in "Matrimonio all'italiana" : "...così così, così e così...")
 
In questa mostruosa emersione anche Funari trova inaspettatamente posto : ma non è più il rubizzo e carnale conduttore, quanto una voce rauca che vuole incarnare la protesta e la voglia di capire de la ggente...Ma se buone intenzioni ci sono mai state, il risultato è completamente opposto : i politici capiscono che possono essere volgari come parte del loro elettorato, in nome della concretezza si pratica il semplicismo, alla fine tutti gli intervistati sorridono a 74 denti come il conduttore. Quest'ultimo sorriderà ancora per poco, dopo una faida con il Signore delle Reti. Da quel momento al posto del volto non più rubizzo comparirà una candida barba da filosofo e profeta, da Funaruman il Bianco, che si spoglierà come San Bartolomeo nei suoi show, piangerà e accuserà, invano. Insieme con lui salgono al livello di Venerabile Maestro Lino Banfi e Pippo Franco. Un ultimo tentativo di rientrare per la porta principale si scontrerà con l'inflazione delle immagini e delle parole. Ormai Beppe Grillo urla più di lui e Adriano Celentano (altro metrappanzè dei giorni nostri) canta ancora bene. Date le sue condizioni cardiache, la sua è stata una fine annunciata. A boccaperta è rimasta, per così dire, solo la Carfagna : in attesa di chissà cosa....
15 luglio 2008
Odifreddure : la parola crea la realtà ?
Odifreddi esamina poi criticamente la tesi di Heidegger per cui la parola procura l'essere alla cosa. Egli dice che se Heidegger voleva dire che le banane non esistono fino a quando non si inventa la parola "banana", allora la cosa fa ridere ed infatti le scimmie se la ridono e mangiano le banane anche senza saper parlare. Se invece Heidegger voleva dire che lo spirito non esiste sin quando non si inventa la parola "spirito", allora aveva certamente ragione. E la dimostrazione che non si sbagliava sta nel fatto che la preoccupazione per un concetto e l'invenzione della relativa parola vanno di solito di pari passo.

Questo argomento evidenzia l'ingenuità filosofica di Odifreddi :in primo luogo perchè ciò che vale per lo spirito non dovrebbe valere per le banane ? Perchè ciò che mangiano le scimmie sono le banane ? In realtà ciò che mangiano le scimmie sono le banane solo quando questo qualcosa viene in qualche modo categorizzato. Heidegger non sta parlando della materialità delle banane, materialità che secondo la biologia precede magari la comparsa dell'uomo sulla Terra. Il problema è che quando parliamo delle banane non facciamo se non indirettamente riferimento a tale materialità (mentre il riferimento è più diretto quando le mangiamo e questo sino ad un certo punto perchè comunque le sbucciamo), mentre invece più immediatamente operiamo con categorie che appunto sarebbero collegate con le parole. Senza contare che è molto controverso il fatto che le scimmie se la ridano (e la battuta in realtà fa parte dell'argomento, in quanto se le scimmie realmente se la ridessero avremmo un argomento forte contro la tesi di Heidegger). Piuttosto bisognerebbe criticare Heidegger proprio perchè pensa che sia ovvio che il pensiero si riduca al linguaggio, quando questo è un altro punto controverso. Inoltre si può criticare Heidegger proprio percorrendo la direzione opposta a quella di Odifreddi : Heidegger vuole dire che la parola dà essere alla "cosa". Ma facendo così pensa che la parola trascenda il suo esser parola, altrimenti dovrebbe dire che "parola" dà essere a "cosa" , ma ciò sarebbe arbitrario dal momento che non si vede perchè una determinata parola debba dare essere ad un'altra parola. La tesi di Heidegger dunque o presuppone il realismo che vuole rimuovere o diventa puro arbitrio. Ma Odifreddi proprio questo arbitrio viene ad abbracciare accettando il legame inesorabile tra parola e concetto. Crociano senza volerlo.
15 luglio 2008
A che punto sono le fabbriche recuperate sudamericane
Una delegazione argentina di funzionari di governo, sindacalisti e operai di imprese recuperate è in Italia per visitare alcune cooperative e stabilire nuovi rapporti internazionali. Negli ultimi anni, alcune imprese autogestite argentine si sono messe in contatto con cooperative italiane nella ricerca di nuove forme di organizzazione del lavoro. Da questa esperienza sono nate alcune «multinazionali» di un'altra economia. Il default argentino del 2001 ha messo in moto un modello di impresa impossibile, un impresa senza capitale. Disperati, senza lavoro, in un paese insolvente, gli operai hanno incominciato ad occupare le loro fabbriche chiuse, si sono organizzati in cooperative, hanno chiesto alla magistratura di poter usufruire delle macchine e lentamente gli impianti hanno ripreso a produrre. Sono passati sette anni e oggi circa 200 imprese recuperate continuano a sfidare la logica del profitto. Queste esperienze di autogestione propongono un cambio di prospettiva. Non si fondano sulla logica economicistica del sempre maggiore profitto, ma su una logica di produzione che mette al centro l'essere umano. L'uomo è mezzo ma pure fine. Tra le differenti proposte messe in atto per superare la crisi (piqueteros, assemblee, trueque ecc) quella del recupero delle fabbriche dimesse sembra essere oggi quella più riuscita. Le prime esperienze di occupazione cominciano in piena crisi e dall'Argentina si estendono a vari paesi dell'America Latina. Nel corso degli anni si sono affinati i meccanismi del recupero, la modalità delle cooperative, la pianificazione e la progettazione della produzione e della distribuzione e perfino i rapporti internazionali. Nell'Italia degli anni '80, la crisi industriale ha dato luogo ad una serie di risposte che possono essere utili anche al caso argentino. Per entrambi la priorità è quella di promuovere uno sviluppo economico partecipato e generato dal basso. Nel 1986 è nata, in Italia, Cooperazione Finanza Imprese (Cfi) con il compito di sostenere la nascita, attraverso la partecipazione al capitale sociale, di cooperative di lavoratori di aziende in crisi. Oggi il Cfi finanzia l'attività di alcune imprese recuperate in Argentina. A novembre 2007 a Buenos Aires ha partecipato insieme a 13 imprese cooperative italiane, alla seconda Exposición Argentina de las Empresas Recuperadas por los Trabajadores. La manifestazione è servita anche come piattaforma di scambio tra il movimento cooperativo argentino e quello italiano. (Claudio Tognonato)
Argentina
autogestione
cooperative
| inviato da pensatoio il 15/7/2008 alle 1:51 | |
14 luglio 2008
Il lupo (marsicraxiano) perde il pelo....
 
Del Turco
Abruzzo
lupo marsicano
| inviato da pensatoio il 14/7/2008 alle 22:30 | |
14 luglio 2008
La volontà di Eluana
A me non piace la libertà di morire o far morire. Credo si tratti di una libertà che l'individuo si prenda a prescindere dall'ordinamento giuridico. Essa si può legare alla disperazione, ad uno stato di necessità, alla mancanza di libertà. E' uno stato di eccezione, che in quanto tale difficilmente si declina come diritto. E lo faccio per ragioni del tutto diverse da chi è credente : per il credente solo Dio è signore della vita e della morte. Per me dopo la morte non c'è niente. Per cui il diritto alla vita è il diritto basico per eccellenza. Per cui non sono entusiasta della sentenza che riguarda la Englaro. Per me c'è solo tristezza.

Ma non voglio parlare di questo. Piuttosto mi preme esaminare una delle giustificazioni che motiva la battaglia del padre. Cioè quella legata alla presunta volontà della figlia. In realtà una serie di frasi dette in vita poco può assicurarci sulla volontà di qualcuno. E dopo sedici anni si potrebbe tranquillamente cambiare idea. Immaginiamo che Eluana avesse fatto testamento biologico. Sarebbe morta molti anni fa. Ma se adesso a sedici anni di distanza avesse cambiato idea ? E se si scoprisse tra dieci anni una tecnica che consenta di rigenerare la corteccia cerebrale ? Ma al di là di tali questioni, perchè non si parla di volontà del tutore, a cui di necessità spetta una decisione (sempre che tale decisione sia lecita)? Perchè non dire "Non riesco più a sopportare di vedere mia figlia in queste condizioni" ? Invece la disperazione di un padre viene ideologicamente declinata come libertà della figlia. E' umano. Ma è falso. Ed è dannoso. La "volontà di Eluana" è un catafalco più ingombrante del corpo di Eluana Entrambi appartengono forse alla morte.
14 luglio 2008
Marx e i giovani-hegeliani
"Finora gli uomini si sono fatti idee false intorno a se stessi, intorno a ciò che essi sono o devono essere. In base alle loro idee di Dio, dell'uomo normale etc. essi hanno regolato i loro rapporti. I parti della loro testa sono diventati più forti di loro. Essi, i creatori, si sono inchinati di fronte alle loro creature. Liberiamoli dalle chimere, dalle idee, dai dogmi, dagli esseri prodotti dalla immaginazione, sotto il cui giogo essi languiscono. Ribelliamoci contro questa dominazione dei pensieri. Insegnamo loro a sostituire queste immaginazioni con pensieri che corrispondano all'essenza dell'uomo dice uno (Feuerbach); a comportarsi criticamente verso di esse, dice un altro (Bauer); a togliersele dalla testa, dice un terzo (Stirner) e la realtà ora esistente andrà in pezzi" Queste fantasie innocenti e puerili formano il nucleo della moderna filosofia giovane hegeliana.

A livello immediato Marx dice che è una concezione puerile pensare di poter cambiare la testa degli uomini, senza congiuntamente cambiare il contesto materiale nel quale l'uomo vive ed opera. Tuttavia potremmo domandarci perchè Marx scriva libri, giacchè nessun libro può cambiare la realtà materiale, senza passare per la mente di chi legge, cambiarne il modo di interpretare la realtà e dare motivazioni e strumenti per agire. Ma allora in che senso la critica di Marx coglie il bersaglio ?
marx
libro
feuerbach
hegel
stirner
bauer
| inviato da pensatoio il 14/7/2008 alle 9:40 | |
13 luglio 2008
Sabina Guzzanti
I fratelli Guzzanti sono di un' intelligenza a mio parere portentosa. Tutto ciò che fanno, le battute, le espressioni, le imitazioni grondano intelligenza. Corrado forse è una spanna sopra. Forse perchè vola un po' più basso. Sabina invece no. Sabina non riesce a trattenersi e può commettere qualche intemperanza. Ho visto il video del suo intervento. Certo a volte è stata eccessiva (non nel merito, ma nel modo), ma niente che non possa essere spiegato con la differenza di stili e di opinioni tra le persone. E poi la sua rabbia, il suo sarcasmo non è pure quello di molti di noi ? La sua isteria non ha ragioni da vendere, visto che il livello del dibattito politico è bassissimo ? Sicuramente il suo intervento è stato migliore di quello di Di Pietro (che non ho visto ma che posso immaginare imitato da Neri Marcorè).

Perchè tra tante male parole ha detto una serie di cose condivisibili : ad es. che Prodi avrebbe dovuto cambiare la legge elettorale e tornare alle elezioni. Che il problema della Carfagna non è sessuale, ma politico e cioè qual è il criterio di selezione del Consiglio dei ministri ? E io aggiungerei : quale dovrebbe essere il rapporto tra Consiglio dei Ministri e Presidente del Consiglio ? Ha detto che il problema dei salari e degli stipendi non è senza rapporto con il problema della giustizia e del grado di corruzione politica esistente nel nostro paese. Ovviamente l'Italia è un paese di 60 milioni di esperti di comunicazione che litigano tra loro anche sul valore comunicativo delle contumelie che si scambiano. Ma sarebbe il caso di tornare alla sostanza di ciò che si dice invece di recriminare sempre sulla forma. Il contrario sarebbe ancora una volta una vittoria culturale di Berlusconi
13 luglio 2008
Simboli : Abramo
Abramo ha un'etimologia controversa. Egli è ab-ram (il Padre è esaltato) o ab-raham (il padre delle moltitudini). In tutti e due i casi, ma soprattutto nel secondo possiamo dire che Abramo sia un simbolo stesso di Dio, in quanto Uno che è all'origine dei molti. Anche quando esce fuori dalla sua dimora (patria) per generare la moltitudine (i popoli del libro), egli è come Dio che in quanto Uno deve uscire fuori di sè (alienarsi) per generare la molteplicità. Il suo è il primo Esodo, in cui rinuncia a ciò che ha e a ciò che è per acquisire 77 volte tanto. Così come Dio che uscendo fuori di sè, genera un altro sè (il mondo) e dunque si moltiplica. Nel suo uscire dalla propria dimora, Abramo è simbolo dell'avventura e del rischio, in un certo senso dell'investimento che dovrebbe generare maggiore profitto. Abramo è disposto a sacrificare suo figlio per il patto con Dio che gli assicura la progenie di un popolo, così come Dio sacrifica suo Figlio per la salvezza del genere umano. Nel sacrificio, Abramo è simbolo delle fede che sopravvive contro tutte le probabilità (Pascal), della fede in Dio che media tra la sua perdita e la sua ricompensa. Alla fine ciò che è sacrificato è un surrogato, un sostituto : il sacrificio umano viene sostituito dal sacrificio di un animale. La sostituzione genera una sorta di duplicazione, perciò qui si biforca la storia di due sacrifici, quello del capro sgozzato (Isacco) e quello del capro cacciato nel deserto (Ismaele). E da qui si diparte la storia della gemellanza che tanto ha avuto ruolo nel mito e nella storia di Gesù Cristo.

Secondo leggende islamiche e tardo giudaiche, Abramo da un lato è generato da Jibril (l'Arcangelo Gabriele) e nascosto in una caverna (come Zeus, come Cristo, come Lazzaro che rinasce dalla caverna in cui è sepolto). D'altro canto Abramo è ucciso (o quasi ucciso) dal Re cacciatore Nimrod, timoroso di lui (così come Ares uccide Adone e Caino uccide Abele). Come Uno che genera i molti Abramo, soprattutto nel Medioevo (si pensi a Reims e Notre Dame), assume fattezze androgine (si pensi al seno di Abramo) e, come Gesù, tiene i fanciulli sul suo grembo, riconoscendo la propria discendenza (l'atto del padre di tenere sulle ginocchia il neonato coincide con l'atto di riconoscerlo)
Abramo
Dio
Isacco
Gesù
Islam
Nimrod
| inviato da pensatoio il 13/7/2008 alle 10:25 | |
13 luglio 2008
la globalizzazione secondo Marx ed Engels
Dopo quasi mezzo secolo dalla sua prima comparsa, nella elegante collana La Cultura de il Saggiatore, viene riproposta nei Tascabili dello stesso editore l'antologia di scritti di Karl Marx e Friedrich Engels su India Cina Russia (il Saggiatore, pp. 390, euro 13). Una ristampa che testimonia la possibilità di «usare» la riflessione marxiana sulle realtà cinese, indiana e russa in rapporto all'attualità geo-politica in cui i tre paesi svolgono un ruolo nevralgico nelle relazioni internazionali. Pagine illuminati, perché consentono di ricostruire la genealogia dello sviluppo economico, sociale di realtà nazionali che sono diventate i case studies del moderno capitalismo. L'attualità delle corrispondenza di Marx e Engels non sta, infatti, nel descrivere fedelmente i rapporti di sfruttamento vigenti, ma di offrire il loro background storico. Molti degli scritti raccolti nel volume sono apparsi tra il 1853-1860 sulla New York Daily Tribune e ricostruiscono le diverse forme di penetrazione capitalistica in paesi considerati «arretrati». In filigrana sono presenti alcuni dei temi sviluppati nel Manifesto del partito comunista, in cui Marx e Engels, analizzando lo sviluppo storico della borghesia, avevano individuato nel mercato mondiale la forma economica e sociale che avrebbe soppiantato i tradizionali rapporti economici. Rilette dopo più di 150 anni, questi scritti appaiono dunque profetici, perché «immaginano» uno scenario divenuto realtà. Come ha scritto lo storico britannico Eric J. Hobsbawm, il Manifesto «può oggi essere letto come una concisa caratterizzazione del capitalismo alla fine del ventesimo secolo». Quel che contraddistingue l'analisi di Marx ed Engels è la consapevolezza del carattere internazionale del capitalismo fin dalle sue origini, carattere che si manifesta attraverso un lungo sviluppo storico che, seppur anticipato dai molteplici scambi nell'antica Eurasia, prende compiutamente piede con la conquista dei immensi mercati americani, africani e asiatici a partire dal XVI secolo. Dal 1500 il rapporto tra Europa e Stati Uniti e, successivamente, e il resto del mondo diviene una relazione di dominio nei confronti della maggioranza dei popoli del pianeta che ha consentito di rappresentare il capitalismo come l'unico modello possibile di organizzazione socio-economica.
Pagine mercenarie Due sterline ad articolo: tanto era il compenso che Karl Marx, «il nostro corrispondente da Londra», percepiva per i suoi documentati reportage sul quotidiano statunitense New York Daily Tribune, articoli che spaziavano dalla schiavitù in America al Risorgimento italiano, dalle guerre dell'oppio in Cina al colonialismo britannico in India, dalla servitù della gleba nella Russia zarista alla guerra di Crimea, dalle dittature borghesi di Napoleone III (1808-1873) e Lord Palmerston (1784-1865) alle crisi finanziarie e commerciali dei principali paesi europei. La New York Daily Tribune era stata fondata nel 1841 come giornale della componente di sinistra del partito whig americano. Tra il 1840 e il 1850 si era contraddistingo come il quotidiano che aveve veicolato una campagna contro la schiavitù. Negli anni in cui vi collaborarono Marx ed Engels era l'organo del partito repubblicano statunitense. Il giornale contava più di 200.000 lettori ed era il quotidiano più diffuso nel mondo in quel periodo. Marx dall'inizio del 1853 scriveva gli articoli direttamente in inglese e alcuni venivano talvolta pubblicati senza l'indicazione dell'autore. Ma le indicazioni contenute nei taccuini in cui Marx e sua moglie Jenny annotavano la data di stesura o di spedizione dei singoli articoli e quelle presenti nella corrispondenza di Marx ed Engels negli stessi anni consentono di individuarne, al di là di ogni dubbio, la paternità letteraria. «I fenomeni dell'accumulazione primitiva - scrive il curatore Bruno Maffi - che il I Libro del Capitale descriverà in pagine anche letterariamente poderose, vedendoli pure in controluce sullo sfondo delle imprese di conquista transoceaniche dell'Inghilterra capitalistica, apparivano qui ingigantiti dalla virulenza raggiunta in patria dalla rivoluzione industriale e dal crollo subitaneo nelle colonie assoggettate o da assoggettare degli ultimi bastioni di un'economia arretrata ma, nei suoi limiti storici, razionale e, per antichissima tradizione, molto più sollecita del destino dei gruppi, delle famiglie e degli individui. Le artiglierie pesanti del commercio abbattevano qui non solo le sovrastrutture putrefatte del "dispotismo orientale", ma quelle piccole isole primitive di un solidarismo proto-comunista che erano le comunità di villaggio indiane, le unità domestico-patriarcali cinesi, più tardi le comuni agricole e le cooperative artigiane in Russia, tutte fondate sull'assenza di proprietà terriera privata e personale e sull'appropriazione collettiva, in varia forma, del prodotto di un'attività consociata». Per Marx la penetrazione del capitalismo in società non capitaliste, dopo una prima brutale fase di sconvolgimenti delle forme di vita tradizionali, era da considerare un processo necessario per consentire l'industrializzazione di quei paesi e la conseguente formazione di un proletariato moderno.
Officina mondiale Un dispositivo analitico, quello di Marx, non sempre efficace, specialmente quando è stato applicato in modo dogmatic. «Pensare che il materialismo storico - ha scritto lo studioso sudafricano Hosea Jaffe - implicasse un'unica sequenza lineare di modi di produzione - dal "comunismo primitivo" alla schiavitù, al feudalesimo, al capitalismo al socialismo - significa fraintendere Marx e il marxismo. La lettera a Vera Zasulic in cui Marx definiva possibile e anzi probabile che la Russia non sarebbe passata attraverso una fase capitalista e avrebbe invece compiuto un salto diretto dal feudalesimo al socialismo dimostra che il suo principio del materialismo storico era più hegeliano che cartesiano». La politica coloniale inglese, che conosce il suo apogeo nel XIX secolo, ma che durerà fino alla seconda metà del Novecento (l'indipendenza del «gigante nero» dell'Africa, la Nigeria, risale appena al 1960), ha rappresentato la più potente espansione del capitalismo su scala planetaria prima dell'inizio dell'egemonia mondiale degli Stati Uniti d'America. Negli anni dei governi liberali di Palmerston e di Gladstone (1850-1874) l'Inghilterra esercitò una supremazia assoluta nel mondo. La Grande Esposizione Industriale, inaugurata a Londra il primo maggio del 1851, rappresentò il riconoscimento mondiale dei risultati della Rivoluzione industriale inglese. L'«officina del mondo» monopolizzava quasi tutti i commerci ed esercitava un dominio sicuro sui mari del pianeta. Temi, problematiche ampiamente affrontati negli articoli di Marx e Engels e che resistituiscono un mondo già abbondantemente globalizzato al quale, per quanto concerne la Gran Bretagna (assieme ai possedimenti coloniali francesi, olandesi, belgi) hanno contribuito in maniera determinante le colonie e, tra queste, l'India, la «perla» dell'impero. Marx aveva chiara la funzione dell'Inghilterra, «rivoluzionaria malgrado se stessa», nell'espansione mondiale del capitalismo e nella distruzione di tutti gli antichi modi di vivere e produrre. «Fu l'invasore inglese a spezzare il telaio e il filatoio a mano. L'Inghilterra cominciò ad espellere le cotonerie indiane dal mercato europeo; poi introdusse nell'Indostan (l'India, n.d.r.) i suoi filati ritorti; infine, inondò dei suoi manufatti cotonieri la patria stessa del cotone».
L'oppio dei popoli A proposito del tradizionale sistema di villaggio indiano, che scomparirà «per gli effetti del vapore e del libero scambio made in England» Marx non mostra alcuna esotica nostalgia: «Non si deve dimenticare che queste idilliache comunità di villaggio, sebbene possano sembrare innocue, sono sempre state la solida base del dispotismo orientale; che racchiudevano lo spirito umano entro l'orizzonte più angusto facendone lo strumento docile della superstizione, asservendolo a norme consuetudinarie, privandolo di ogni grandezza, di ogni energia storica. (...) Non si deve dimenticare che queste piccole comunità erano contaminate dalla divisione in caste e dalla schiavitù. (...) Il problema è: può l'umanità compiere il suo destino senza una profonda rivoluzione nei rapporti sociali dell'Asia? Se la risposta è negativa, qualunque sia il crimine perpetrato dall'Inghilterra, essa fu, nel provocare una simile rivoluzione, lo strumento inconscio della storia». Marx è naturalmente consapevole delle sofferenze del popolo indiano; così come è altrettanto consapevole che il processo di trasformazione capitalistica del pianeta è ineluttabile e necessario per consentire fasi superiori dello sviluppo storico (che egli identifica con il comunismo). «La profonda ipocrisia, l'intrinseca barbarie della civiltà borghese ci stanno dinanzi senza veli, non appena dalle grandi metropoli, dove esse prendono forme rispettabili, volgiamo gli occhi alle colonie, dove vanno in giro ignude. (...) Gli effetti distruttivi dell'industria inglese, visti in rapporto all'India - un paese grande come tutta l'Europa - si toccano con mano, e sono tremendi. Ma non dimentichiamo ch'essi non sono che il risultato organico dell'intero sistema di produzione com'è costituito oggi. Questa produzione si fonda sul dominio assoluto del capitale». Per ritornare alla Cina di Marx, va segnalata la grande attenzione che egli dedica ad una delle pagine più nere della storia cinese, quelle legate alla imposizione del consumo di oppio da parte degli inglesi. A conclusione di uno degli articoli dedicati al commercio dell'oppio (25 settembre 1858), articoli nei quali si alternano il rigore documentario e la l'attenta ricostruzione storica, Marx denuncia con toni veementi le politiche monopolistiche di imposizione dell'oppio alla Cina da parte della Gran Bretagna che si vorrebbe paladina indiscutibile del libero scambio. Marx mostra inoltre uno scrupolo documentario costruito attraverso la lettura di lettere, atti parlamentari, testi di commissioni parlamentari, rapporti politici ed economici, oltreché di studi dedicati a questioni particolari. Negli scritti giornalistici è presente, inoltre, uno stile sferzante, pungente, veemente, a tratti ironico, velenoso e penetrante, che spesso ricorre alla martellante iterazione di fatti e nomi, uno stile irriverente del potere, ma mai declamatorio, con metafore, immagini, espressioni colorite, emblematiche, memorabili, con colti riferimenti storici, economici, letterari. Gli articoli di Marx restituiscono infine la vicenda storica degli anni in cui furono scritti. Ne emerge un lucido analista del capitale globale, proponendoci una chiave di lettura della compiuta unificazione planetaria ad opera del capitale.
(Donatello Santarone)
Marx teorico della globalizzazione. È uno dei luoghi comuni della riflessione contemporanea attorno all'opera dell'autore del Capitale. Come molti dei luoghi comuni occorre una buona dose di scetticismo e disincanto quando ci si imbatte in essi. È indubbio che alcune pagine del Manifesto del partito comunista o degli altri scritti del filosofo tedesco mettendo al centro la tendenza del capitalismo ad affermarsi come modello unico di produzione della ricchezza. Così come è certo che il pensiero critico che si è considerato erede di Marx abbia «lavorato» su alcune pagine dei suoi scritti per analizzare l'imperialismo e il consolidarsi del mercato mondiale, Due nomi per tutti: Rosa Luxembourg e Vladimir Ilich Lenin. E tuttavia questa «moda» di Marx teorico della globalizzazione è quanto di più consolatorio che il pensiero di sinistra possa mettere in campo. La globalizzazione è sì la diffusione su scala planetaria dei rapporti sociali capitalistici, Ma ha caratteristiche, tendenze e «strutture profonde» che Marx non poteva certo, profeticamente, anticipare. Il capitalismo punta a includere e sottomettere realtà ai suoi rapporti sociali, ma per dare corso a questa tendenza onnivora deve continuamente mutare le forme e i modi di produzione. Da questo punto di vista la globalizzazione è, al tempo stesso, la realizzazione di un mercato mondiale, ma non coincide con l'omologazione dei modi di produzione. Semmai si assiste alla compresenza di sviluppo e sottosviluppo, di organizzazioni produttive «postmoderne» con rapporti servili di lavoro, di antico e moderno. Da questo punto di vista, l'analisi marxiana è figlia del suo tempo e non aiuta alla comprensione della realtà contemporanea, e dunque delle possibilità di trasformazione. La nuova edizione degli scritti di Karl Marx e Frederich Engels delle corrispondenze sull'India, la Cina e la Russia da parte del Saggiatore vanno quindi lette come componenti di quel laboratorio di analisi e censimento dei problemi che i due studiosi «accumulavano» prima di cimentarsi nel lavoro di produzione di concetti adeguati alla critica del regime fondato sul lavoro salariato. Con pacato realismo va detto che il mercato mondiale è ormai realtà e che l'ordine dei problemi posti dal capitalismo hanno a che fare con quell'interdipendenza tra lavoro cognitivo, servile, industriale che lo caratterizza. Sono questi i motivi che portano a dire che il Marx del manifesto del partito comunista non è un teorico della globalizzazione, quanto un militante di quella critica dell'economia politica che non poteva certo prevedere come il conflitto di classe lo avrebbe profondamente modificato. Il suo laboratorio continua a offrire materiali preziosi, ma propedeutici a una sua necessaria e radicale innovazione teorica. (Benedetto Vecchi)
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